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“Berlusconi chiamò in questura e successe il finimondo”

17 Feb

Così la polizia ha resistito al Caimano

La notte “folle” in Questura. Parlano gli agenti: “Dodici chiamate per Ruby”. La prima stranezza fu la telefonata di Michelle Conceicao che chiedeva di Karima

(ANSA) -MILANO, 8 NOV 2011 - Il via all’inchiesta sulla vicenda Ruby -secondo fonti della Procura- sarebbe stato dato dalle relazioni trasmesse dai funzionari della questura e dal Tribunale per i minorenni relative alla notte in questura del maggio scorso. Gli inquirenti cercano di far luce su due aspetti di quella notte: le telefonate di Berlusconi e del suo capo scorta al capo di gabinetto della questura e il ruolo di Nicole Minetti che si presento’ in questura per prendere in affido la ragazza su indicazione del premier.

“Spero che adesso la gente capisca che può fidarsi della polizia. Abbiamo dimostrato che tanti di noi non si piegano e obbediscono solo alla legge. Sono fiero che i pm abbiano affidato a noi le indagini come segno di fiducia. Noi li abbiamo ripagati e le prove che abbiamo raccolto sono state definite evidenti. Oggi sono di nuovo fiero della mia divisa”.

Parlare con gli agenti che erano in Questura l’ormai famosa notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 è un’impresa: “Niente telefono, perché abbiamo tutti un abbonamento stipulato dalla polizia e, chissà, potrebbero controllare i tabulati”. Allora ci si può vedere di persona, ma dove? “Lontano dalla Questura… anzi, da qualsiasi commissariato”.

Uno slalom, però vedi che vogliono raccontare, un po’ per se stessi, molto per la polizia. Certo, sono stati mesi duri: “Non sapete quante volte ho maledetto il giorno che mi sono segnato di turno quella notte. Voi non avete idea di quante rogne abbiamo avuto: le indagini, i giornalisti, i superiori che non vogliono che parliamo con nessuno. Ma lo sa che ci sono colleghi così spaventati che non riesci nemmeno più a chiedergli come stanno”.
Sembra di essere piombati in mezzo a una storia di spionaggio, alla fine ci si ritrova nella saletta interna di un bar fuori mano: “È comprensibile, qui c’è di mezzo il premier e un’inchiesta della Procura”. Non solo: “Bè… può immaginare, ci sono anche dei nostri pezzi grossi che compaiono negli atti, certo non sono indagati, ma la faccenda è complicata”.

Nessun nome, nessun riferimento, d’accordo, allora Giorgio (lo chiameremo così) comincia a parlare. E non si ferma più, come se da mesi aspettasse di sfogarsi: “Bè… all’inizio ‘sta storia di Ruby era come tante altre. A parte che lei era carina… insomma, una ragazza alta un metro e ottanta, vestita come se andasse al mare che ti piomba in Questura mentre stai facendo il turno di notte… bé, non te la dimentichi”, sorride Giorgio. Poi si passa la mano sul viso, come per cancellare quell’espressione e non dare l’idea di prendere poco sul serio questa vicenda.

“Guardi, era tutto filato liscio per qualche ora. Alle 18,15 gli uomini della volante Monforte Bis avevano fermato Ruby, poi l’avevamo accompagnata in Questura e alle 19,13 la prima telefonata al pm del Tribunale dei minori Annamaria Fiorillo. Tutto ok, ma alle 21,38 è arrivata quella prima strana chiamata. Sul momento non ci avevamo fatto caso. Era Michelle Conceicao Dos Santos Oliveira che ha chiamato il 113 e ha chiesto notizie di Ruby… ma sa, di gente così ne gira parecchia. I guai, quelli veri sono venuti più tardi… verso mezzanotte è arrivata quella telefonata. Abbiamo visto la dottoressa Giorgia Iafrate sbiancare in volto. Era il capo di Gabinetto della Questura, Pietro Ostuni che le riferiva della telefonata di Berlusconi. A quel punto è successo il finimondo… Lo so, io difendo la polizia, ma mi rendo conto che ci sono tanti punti oscuri, mi fa male vedere la paura che tutti noi abbiamo a parlare di questa storia… ma provate a mettervi nei nostri panni: un funzionario di polizia come la dottoressa Iafrate riceve dodici, dico dodici!, telefonate dal Capo di Gabinetto della Questura Pietro Ostuni che a sua volta era stato chiamato da Berlusconi. Non è facile resistere, anche se in qualche modo Iafrate ci ha provato… È stata una notte folle… davanti a noi avevamo quella ragazza, con quello sguardo insieme da donna consumata e da bambina, poi la sua amica brasiliana dal mestiere incerto che ci telefona.

Quindi le chiamate del premier che tira fuori Mubarak… e alla fine ci mancava solo quella consigliera regionale vestita da pin up. Ecco, glielo devo dire, sono anni, tanti anni che lavoro in polizia. Lasciamo perdere i reati di Berlusconi, a quelli ci penserà eventualmente il giudice… e io non sono né di destra, né di sinistra… ma l’impressione è stata che ci abbiano trattati senza alcun riguardo. Ma che cazzo credono che siamo, un circo Barnum, un teatrino di avanspettacolo…? Vede, noi a fine mese ci portiamo a casa millecinquecento euro. E quando usciamo con le volanti non sappiamo mai a che cosa andiamo incontro… provate a immaginare la radio di servizio che vi chiama e vi ordina di andare dove c’è una rapina e stanno sparando. Noi non possiamo tirarci indietro. Questo è il nostro lavoro e poi ci tocca rischiare la carriera per la nipote di Mubarak. Ma scherziamo? Ecco, dopo aver visto certe cose ho pensato di mollare tutto. Ma poi è arrivata la decisione del gip, il processo immediato, e ho ritrovato fiducia: le indagini che abbiamo fatto noi poliziotti hanno retto all’esame del giudice. Io non spero che Berlusconi sia condannato, mi basta vedere che la legge è uguale per tutti. Anche grazie al nostro lavoro”.

da Il Fatto quotidiano del 17 febbraio 2011

 

Festini e marchette, intervista a Sara Tommasi: “Politici e calciatori, Mora e Corona fan tutti i propri comodi”

9 Feb

L’audio della conversazione di Sara Tommasi con l’inviato del Fatto Quotidiano Marco Lillo


Geronimo La Russa avrebbe detto al padre Ignazio:

“Sara è roba mia, non rompere i coglioni”

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Sara Tommasi, festini e marchette da Lele Mora ai Berlusconi. Ma anche disperazione.

Piange al telefono con la madre, scrive sms minacciosi direttamente al presidente del Consiglio, finisce in una clinica per curarsi. “Non è la vita che sognavo, se la vita da star è fatta di questo, lo capisco e rinuncio”. Prima la droga, i festini, le marchette, i rapporti diretti con il clan di Lele Mora Fabrizio Corona, ma soprattutto con Silvio Berlusconi e suo fratello Paolo. Poi la disperazione e il crollo. La storia di Sara Tommasi che emerge dalle intercettazioni raccolte nell’inchiesta di Napoli è quella di una ragazza distrutta, prima dalle sue ambizioni, poi dal giro diLele Mora e del premier. Oggi l’abitazione milanese di Sara Tommasi è stata perquisita dagli investigatori, che hanno sequestrato un personal computer. Perquisita anche l’abitazione di Vincenzo Saiello, soprannominato “Bartolo”, indagato per favoreggiamento della prostituzione nell’inchiesta di Napoli e in contatto con Corona.

La Tommasi intercettata: "Berlusconi mi perseguita". "Quei potenti si elettrizzano quando vedono giochini a tre. Vogliono che trovi una amichetta". "Lele Mora mi faceva mettere cose nei bicchieri"

 

Cose di casa: da Montecarlo ad Arcore, commedia all’italiana in trasferta ad Antigua….

14 Ago


Vedi l’aggiornamento del 18 ottobre:

Antigua, Banca Arner, Berlusconi: i protagonisti, la storia, le domade

14 agosto 2010

La testimonianza del testimone che testimonia. La storia di Villa San Martino ad Arcore. Il delitto di Camillo Casati Stampa. Previti tutore dell’erede. La vendita della villa di Arcore. Un rogito chiaccherato. Le accuse a Berlusconi. La difesa di Ghedini. I finiani: Berlusconi chiarisca su Arcore.

“Ma non lo capite? I bolscevichi sono dappertutto, stanno prendendo il potere, stanno uscendo dalle fogne come i topi, si arrampicano sull’asta della bandiera e stanno sbocconcellando le stelle e strisce!”

“Qui ci vuole la camicia di forza”

Vincent Gardenia a Walter Matthau, Front Page 1974

Ecco le prove, dice Il Giornale. “Dimostriamo che Fini mente” e pubblica oggi le fatture d’aquisto di mobili targate Tulliani. Pubblica anche le dichiarazioni di Davide (nome) Russo (cognome) che asserisce:

1) “spero che nessuno pensi che io abbia voluto diffamare qualcuno”

2) riferendosi all’azienda Castellucci, mobilificio alle porte di Roma “Ho pensato che, di questo passo, l’azienda avrebbe finito per apparire coinvolta o complice di una vicenda dalla quale era estranea” (riferendosi ad un fax inviato dal direttore de Il Giornale che chiedeva di essere messo in contatto con il titolare del centro arredamenti)

3) “Rispettavo la linea aziendale della riservatezza, anche non condividendola. E ho deciso di raccontare quello che avevo visto, ma non da interno”

4) Ho scritto una lettera di dimissioni, l’ho lasciata sul tavolo della titolare, che è in ferie, e vi ho richiamato (i cronisti de Il Giornale, ndr)

5)  “Non ho seguito direttamente l’affare come coordinatore di questo progetto”

6) “Ovviamente ho seguito lo sviluppo dell’affare come testimone, non come attore”

7) “Non posso avere la certezza che il progetto fosse per la casa di Montecarlo”

8) “Quello che so, e che si diceva tra i colleghi è che preventivi, ordini, progetti d’arredo erano per un appartamento non italiano

9) Si parlava apertamente di una casa a Montecarlo, quando ci si riferiva ai preventivi della  Tulliani

10) “si cercò un vettore esterno all’azienda, meglio attrezzato per quel tipo di trasporto. Il compito di cercare lo spedizioniere fu assegnato a diversi impiegati, e tra questi anche a me. Mi misi alla ricerca di un mezzo per il trasporto, ma ammetto che non riuscii a trovarlo”

11) “L’impunt della ricerca era:  spedizione oltre confine”

12) «Il lavoro andava fatto sotto festività, non ricordo se quelle di Natale o dell’ultima Pasqua. Di certo i trasportatori erano pieni di impegni. Non so se poi qualcun altro abbia individuato lo spedizioniere, o se se ne siano occupati direttamente loro, i clienti»

13) “Fini l’ho sicuramente visto seduto al tavolo, accanto a Elisabetta e a uno degli arredatori che lavorava al progetto di uno degli ambienti di questa casa. Stiamo parlando di un negozio open space, non ci sono pareti o ambienti chiusi, ed essendo aperto al pubblico direi che probabilmente l’avranno visto anche i clienti, se la memoria non mi inganna era un sabato”.

Considerazioni sulla testimonianza colabrodo che sembra proprio fare acqua da tutte le parti. Robe da matti, es una locura.

Andiamo con ordine (non Nuovo) iniziando dai due testimoni che sono 1+moglie (la signora è senza nome, o preferisce restare anonima, comunque è tirata in ballo solo dal marito, signor Russo).

Questo signore ha uno strano senso etico: non approva la politica di riservatezza dell’azienda in cui collabora, ne sembra tanto scandalizzato da rassegnare le dimissioni “morali” lasciando la lettera sulla scrivania della titolare che è in ferie (evidentemente l’azienda, in quel momento era deserta: nessun dirigente, nessun impiegato, forse l’usciere era uscito un momento).

Ma questo è ancora nulla. Nell’articolo pubblicato da Il Giornale di Vittorio “Pulitzer” Feltri i cronisti, Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica si staglia il profilo del testimone, per avvalorare, appunto, il peso della testimonianza: “Ha lavorato in tutt’Italia, prima di approdare in quel negozio alle porte della capitale” descrizione concisa, o meglio, scusate, circoncisa.

Ma il testimone è un fiume in piena e forse chiederà il programma di protezione non accordato a Gaspare Spatuzza (La tv, nella stanza accanto, raccontano i due dell’ Examiner  –signor Johnson ha qualche consiglio da darmi… Certo ragazzo, non finire mai una frase con una preposizione e non la cominciare mai con i due punti- , rilancia la reazione di Fini al titolo del Giornale di oggi: «Delirio diffamatorio». Davide non nasconde una certa ansia).

Ed inizia a raccontare. E racconta, e racconta… di non aver seguito come attore, ma come testimone… di non avere la certezza che il progetto riguardasse la casa di Montecarlo… si diceva, tra i colleghi, in pratica un si dice, che l’arredamento fosse destinato ad un appartamento non italiano.

Vabbè, ma questa è xenofobia pura, forse il signor Russo è leghista: classificare gli appartamenti in italiani e non italiani. Ci vorrebbe un decreto legge da presentare alle camere con voto di fiducia. Immaginatevi architetti e ragionieri che sragionano di preventivi e consegne su di appartamenti classificati, tra gli altri, “non italiani”.

Dice ancora, inarrestabile, il nostro supertestimone, che gli fu dato incarico di trovare uno spedizioniere. A lui ed altri. Tra tutti non trovarono nessuno spedizioniere. Normale! Quale spedizioniere avrebbe accettato un incarico prospettato più o meno con un “si dice che il carico dovrebbe essere consegnato a Montecarlo”?. La verità è cruda come la verdura: il nostro ha il compito di trovare lo spedizioniere, ma non dice, o forse non sa, dove doveva essere consegnato il carico. Possibile non lo sapesse? Mah, boh… Anzi, scusate, lo sapeva: all’estero.

La chicca, comunque è faraonica: non ricordo se fosse Natale o Pasqua. Forse il signor Russo zoppica sull’alibi che nessuno gli chiede.

Ma poi passa, per la felicità di “Pulitzer”,  al capitolo Fini: era un sabato, in un openspace, l’ho visto, e sicuramente lo avranno visto anche altri. Bel modo di rafforzare una testimonianza che sembra proprio iniziare con i due punti. Ma ancora… l’ho visto con la Tulliani fare il progetto con il designer. Ma kazzo! manca la descrizione del progetto, ci sembra.

Ricapitoliamo: il “testimone” (scusate ma a volte dobbiamo usare parole grosse, e speriamo non vengano censurate) non ha certezza si tratti di un progetto per la casa di Montecarlo,  non sa in quale  periodo dell’anno si siano svolti i fatti, non sa dove sia diretta esattamente la fornitura, pur dovendo contattare degli spedizionieri che poi, infine, non spediranno.

C’è poi un titolo de Il Giornale, una figata virgolettata anche, che dice: “Il Presidente era al tavolo con lei e l’arredatore, lavoravano al progetto di quella casa” ma

Totò avrebbe approvato: "La testimonianza del testimone che testimonia"

che non è certo si parli dell’appartamento di Montecarlo.

Viva Totò!

Un’occhiata ai documenti pubblicati. La fattura dice VENDITA ITALIA, dice Tulliani e dice 4523 euro… poco per linkare questo documento all’appartamento di Montecarlo.  Poco anche l’importo, qualcuno ci arreda il camper, non l’appartamento vicino a casa di Carolina.

Ecco il Documento! per controllare linkare qui

 

Il documento che inchioderebbe Fini per l'appartamento di Montecarlo

 

 

P.S.  Un consiglio ad Elisabetta Tulliani:  se domattina al bar, dopo il caffè, le consegnassero lo scontrino, sospetti . Il barman potrebbe essere Feltri.

A Vittorio Sgarbi, sempre un vero gentiluomo voto 4, di incoraggiamento.Può fare di meglio.

Ieri, oggi e domani

Un film di Silvio Berlusconi. Con Cesare Previti, Vittorio Feltri, Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Beatrice Rangoni Machiavelli. Annamaria Casati Stampa, Elisabetta Tulliani,

Altri interpreti:  Nicolò Ghedini, Maurizio Belpietro,

Prodotto da Il Giornale

Sceneggiatura di Silvio Berlusconi

Distribuzione Paolo Berlusconi

Commedia, durata 30 anni. – Italia 1980.

Oggi

L’appartamento di Montecarlo

La Villa di Arcore

Montecarlo, il progetto della cucina:
tutti i documenti che smentiscono Fini

La contessa Rangoni Machiavelli: «Così Berlusconi ha truffato mia cognata»

Gian Marco ChiocciMassimo Malpica

Roma L’anonimo ha un nome, Davide, e ha un cognome, Russo. Fino a due giorni fa lavorava al centro arredamenti sulla via Aurelia, a Roma, in cui Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani hanno, nel corso del 2009, fatto un po’ di acquisti. Davide è nel mondo dell’arredamento fin da ragazzo. Ha lavorato in tutt’Italia, prima di approdare in quel negozio alle porte della capitale. La tv, nella stanza accanto, rilancia la reazione di Fini al titolo del Giornale di oggi: «Delirio diffamatorio». Davide non nasconde una certa ansia. «Spero che nessuno pensi che io abbia voluto diffamare qualcuno. Ho solamente raccontato quello di cui sono stato testimone sul posto di lavoro, tra l’altro insieme a mia moglie, che nel 2009 ha lavorato lì con me». Con lui avevamo parlato cercando di contattare l’azienda. Si era trincerato dietro un classico «no comment», ma aveva aggiunto: «Mai fatto spedizioni o consegne per Fini a Montecarlo». Sono seguite altre telefonate, e un fax del direttore del Giornale che chiedeva d’essere messo in contatto con la titolare del centro arredamenti. Lì è successo qualcosa: «Ho pensato che, di questo passo, l’azienda avrebbe finito per apparire coinvolta o complice di una vicenda dalla quale era estranea», spiega ora Davide. «Rispettavo la linea aziendale della riservatezza, anche non condividendola. E ho deciso di raccontare quello che avevo visto, ma non da “interno”. Ho scritto una lettera di dimissioni, l’ho lasciata sul tavolo della titolare, che è in ferie, e ho deciso di richiamarvi, di dirvi quello che sapevo. Senza accusare nessuno, senza aggiungere una virgola a ciò di cui sono a conoscenza per il fatto di lavorare lì».

Insomma, si riconosce nei virgolettati che il Giornale ha pubblicato ieri?
«Certo, sono le mie parole. Voglio solo precisare una cosa: non ho seguito direttamente l’affare come coordinatore di questo progetto d’arredamento, né lo ha fatto mia moglie. Ma ovviamente ne ho seguito lo sviluppo. Come testimone, non come attore».

Ha visto Fini e la Tulliani lavorare a preventivi e progetti con i suoi colleghi?
«Sì, non sono il solo. Chiunque ha lavorato per il negozio in quei mesi ha visto la Tulliani farci visita parecchie volte. È una cliente “storica” del centro arredi, non trovai strano che si fosse rivolta a noi per arredare un altro immobile».

La presenza di Fini non destò la sua attenzione?
«Mi incuriosì, ma sapendo che la Tulliani era la sua compagna mi sembrò normale che la accompagnasse. Semmai era un evento di prestigio: fa piacere annoverare qualche volto noto tra i clienti, è una delle regole del commercio. Per questo ripeto: le loro visite non sono mai state un segreto: avere la terza carica dello Stato nella propria clientela, anche se mi risulta fosse lei a pagare, non è cosa che peggiori gli affari».

Il progetto era per la casa di Montecarlo, quella di cui da settimane si parla?
«La certezza non posso averla. Quello che so, e che si diceva tra colleghi all’interno dell’azienda, è che preventivi, ordini, progetti d’arredo erano per un appartamento non italiano. Si parlava apertamente di una “casa a Montecarlo”, quando ci si riferiva ai preventivi della Tulliani. E dopo il passaggio alla fase progettuale, con gli arredatori per cucina e altri ambienti, quella localizzazione fu confermata dall’esigenza di cercare uno spedizioniere di fiducia».

Il negozio offre trasporto e montaggio. Perché uno spedizioniere esterno?
«Non c’era solo da organizzare la logistica per il trasporto degli arredi comprati in negozio, che l’azienda avrebbe potuto curare in proprio. Era stata fatta presente alla direzione dell’azienda l’esigenza di spedire, con i mobili, anche altri materiali, a me personalmente fu detto per esempio che c’erano pallets di maioliche. Vista la destinazione e la natura del carico, si cercò un vettore esterno all’azienda, meglio attrezzato per quel tipo di trasporto. Il compito di cercare lo spedizioniere fu assegnato a diversi impiegati, e tra questi anche a me. Mi misi alla ricerca di un mezzo per il trasporto, ma ammetto che non riuscii a trovarlo».

Come mai?
«Il lavoro andava fatto sotto festività, non ricordo se quelle di Natale o dell’ultima Pasqua. Di certo i trasportatori erano pieni di impegni. Non so se poi qualcun altro abbia individuato lo spedizioniere, o se se ne siano occupati direttamente loro, i clienti».

Spedizione per dove?
«Di certo per l’estero. Non ho difficoltà a dire che, basandomi su quanto ci dicevamo nel negozio, nessuno dubitava che la meta fosse Montecarlo. Ma l’input per la ricerca era: spedizione oltreconfine».

Torniamo a Fini. Accompagnava Elisabetta e andava via?
«No. Fini nelle due occasioni in cui io l’ho visto in negozio era sempre accanto alla compagna, anche se quella più partecipe era lei, che d’altra parte è venuta in negozio molto più frequentemente. Io Fini l’ho sicuramente visto seduto al tavolo, accanto a Elisabetta e a uno degli arredatori che lavorava al progetto di uno degli ambienti di questa casa. Stiamo parlando di un negozio open space, non ci sono pareti o ambienti chiusi, ed essendo aperto al pubblico direi che probabilmente l’avranno visto anche i clienti, se la memoria non mi inganna era un sabato».

Parliamo di quando il presidente è arrivato in Smart nera e senza scorta?
«Esattamente. Un dettaglio che ho notato per un mio vizio. Fumavo sul balcone quando l’utilitaria è arrivata nel parcheggio e ne sono scesi Fini e la sua compagna».

Si rende conto del peso di quello che lei e sua moglie state dicendo?
«No, stiamo soltanto raccontando quel che abbiamo visto. Potevamo tenerlo per noi, anche perché da fine luglio, quando la storia della casa di Montecarlo è finita sul Giornale, lì in negozio quell’affare è diventato un tabù. E non se ne è più parlato».

I vertici dell’azienda vi hanno imposto il silenzio?
«No. Direi che hanno chiesto riservatezza su un argomento che fino a due settimane fa non era affatto riservato. La linea ufficiale, poi, è diventata: non abbiamo nulla da dire, non abbiamo spedito o consegnato nulla a Montecarlo».

Che poi in sé è vero.
«Certo. E anche se fosse, sarebbe solo una normale transazione commerciale. Il negozio, è chiaro, non c’entra nulla con gli aspetti controversi di questa storia. Anzi, se alla fine ho deciso di farmi avanti, è anche per tutelare un’attività commerciale a cui sono legato, affezionato. Capisco che loro preferiscano tenere il punto, finché potranno. Io mi sono svincolato proprio per non coinvolgerli».

13 agosto 2010

Il Giornale→

di Claudia Fusanitutti gli articoli dell’autoreÈ stata una doppia rapina. Consumata alle spalle di una ragazzina minorenne, choccata dalla morte del padre, fuggita dall’Italia per sfuggire alla curiosità di giornalisti e paparazzi e raggirata da quel professionista che si chiama Cesare Previti al servizio di Silvio Berlusconi». Beatrice Rangoni Machiavelli è una nobile signora di ferme tradizioni liberali, illustre casato, impegnata nel sociale, ex deputato del parlamento europeo. E’ anche la cognata di Anna Maria Casati Stampa di Soncino, la ragazza che nel 1970 resta orfana all’improvviso e tragicamente ed eredita tutto il patrimonio del casato tra cui villa San Martino ad Arcore. La stessa villa in cui dieci anni dopo si trasferisce Il Cavaliere già Re del mattone e in procinto di diventare anche Signor Tv.Cosa intende per “doppia rapina”?
«Dal 1974 vado denunciando il furto perpetrato ai danni di mia cognata Annamaria Casati Stampa di Soncino, per le modalità dell’acquisto della Villa di Arcore e dei terreni, centinaia di ettari, su cui è stata fatta la speculazione di Milano 2».
Non ci sono sentenze che lo dimostrano.
«Siamo arrivati tardi, quando ci siamo accorti del raggiro erano già passati dieci anni ed era scattata la prescrizione. Ma quelle due acquisizioni restano comunque due rapine».
 

Chi è Annamaria? E dove vive oggi?
«È una signora di 59 anni, vive all’estero con la sua meravigliosa famiglia e ogni volta che si parla di questa storia per lei sono solo dolori e incubi. La famiglia, i marchesi Casati Stampa di Soncino, sono uno dei più illustri casati milanesi proprietari in Brianza e a Milano di terreni e palazzi».

Cosa succede il 30 agosto 1970?

«Annamaria arriva a Fiumicino da un viaggio con alcuni amici. Chiama il padre, il marchese Camillo che dopo la morte della mamma di Annamaria si era sposato con Anna Fallarino, per farsi venire a prendere. Camillo la rassicura ma le dice restare ancora qualche giorno con gli amici. Il marchese in realtà, depresso e in pessimi rapporti con la signora Fallarino, aveva già pianificato di suicidarsi. Solo che nelle stesse ore in quella casa arrivano la moglie e il suo amante Massimo Minorenti, lo ricattano, gli chiedono un miliardo di lire per ritirare alcune foto compromettenti già consegnate ai giornali. Lui perde la testa, ammazza e si ammazza. Fu Annamaria a dover riconoscere i corpi sfigurati del padre e della matrigna. Del caso parlò tutta Italia, per mesi. Potete immaginare lo choc di quella ragazza».

Come entra in scena Cesare Previti?

«Il padre Umberto è un noto fiscalista calabrese che nei primi anni settanta sta architettando la complessa struttura societaria della Fininvest. Cesare è un giovane avvocato che ha una relazione con la sorella di Anna Fallarino. La prima cosa che fa è cercare di dimostrare che la famiglia Fallarino è l’unica erede del patrimonio Casati Stampa perchè la donna è morta dopo il marito. L’autopsia gli dà torto: la giovane e minorenne Annamaria è l’unica erede. Il padre, Camillo, è morto due minuti e trenta secondi dopo».

Poi però il giovane Previti diventa tutore della ragazza e amministratore del suo patrimonio.

«Eh, già, si vede che questo era il piano B… Annamaria, minorenne, è affidata a un avvocato amico di famiglia Giorgio Bergamasco il quale però diventa senatore e poi ministro in uno dei governi Andreotti. In un modo o nell’altro rispunta fuori Previti che piano piano diventa l’unico responsabile del patrimonio di Annamaria. La quale si ritrova titolare di beni mobili e immobili per circa tre miliardi di lire ma anche un sacco di debiti per via della tasse di successione con rate da 400 milioni».

E Annamaria decide di vendere…
«Non è così. Qui comincia il raggiro. La ragazza non ha soldi, non ha potere di firma e ogni decisione è delegata a Bergamasco-Previti. Fatto sta che un giorno, siamo nel 1973, Previti dice ad Annamaria: “Ma come sei fortunata, c’è un certo Berlusconi che vuole comprare, 500 milioni…”. Annamaria replica che è un po’ poco, e Previti la rassicura: “Mavalà, in fondo gli diamo solo la villa nuda, la cappella e un po’ di giardino intorno…”. Previti lascia intendere che arredi, pinacoteche, biblioteche, il parco, tutto sarebbe rimasto a lei mentre invece stava vendendo tutto».

Nessuno si accorge di nulla?
«Il fatto è che Annamaria, esausta, nel 1973, appena maggiorenne si sposa quasi di nascosto, una notte, e va a vivere in una fazenda in Brasile, con la sua famiglia, felice e lontana dalla sua prima vita di cui vuol sapere poco o nulla. Il curatore ha campo libero. Io me ne accorgo solo nel 1980, dopo che è stata completata la vendita di villa San Martino. Avverto Previti che avrei raccontato tutto a Anna Maria. Lui mi risponde, ancora lo ricordo, che mai sarei riuscita a portare un pezzo di carta ad Annamaria in Brasile con delle prove. Invece ce l’ ho fatta: avevo nascosto il dossier con la documentazione in un biliardino. Ricordo anche che a Fiumicino ci perquisirono con molta accuratezza. Per andare in Brasile, strano no…».

Che succede poi?

«Annamaria ritira deleghe e procure e le affida a me. Lì comincia la mia battaglia. Abbiamo provato negli anni a riprendere almeno qualche quadro, un Annigoni, ad esempio. Mio fratello andò di persona ad Arcore, fu la volta che si trovò davanti Mangano con tanto di fucile. Berlusconi ci chiese quanto volevamo per venderlo a lui. Ma noi non volevamo venderlo. Non ce l’ha mai reso. Così come le 14 stazioni della via Crucis di Bernardino Luini, nella cappella di famiglia».

All’inizio parlava di due truffe…

«Così come si sono presi il parco e la villa, si sono presi anche tutti i terreni dove poi è sorta Milano 2, terreni agricoli della famiglia Casati Stampa».

In che modo?

«Avevano frazionato i terreni in tante srl e poi li hanno resi edificabili. Quando ce ne siamo accorti, abbiamo scoperto che ogni srl era intestata a vecchini con l’Alzheimer pensionati all’ospizio della Baggina. “Lei non mi può denunciare, io conosco tutti» ci disse Berlusconi. E aggiunse: “E poi domani scioglierò tutte le srl». Ci riuscì, tranne che per poche pezzature di terreni di cui ci fece avere in tre giorni i soldi. Oltre al danno anche la beffa: la speculatrice, la palazzinara, quella che aveva trasformato i terreni da agricoli in edificabili, risultava essere Annamaria Casati Stampa. Il colmo, no? ».

Annamaria?

«Non ne vuole sapere più nulla e nesuno ha mai pensato che potesse essere risarcita. Io però continuo da allora la mia battaglia a tutti i livelli perchè credo sia giusto che si conosca la qualità delle persone che ci governano. Sotto il profilo penale, purtroppo, non è mai stato possibile fare nulla».

Qualche volta ne parlate tra di voi?
«Mia cognata ha un’altra vita, vive lontana, non è affatto legata ai soldi. In quei pochi giorni in cui Previti è stato in carcere mi disse solo: “Chissà, Magari stavolta potrò riavere il mio quadro…”».

13 agosto 2010

Ieri

L’antefatto Casati Stampa

Il Delitto di via Puccini

Le premesse

Camillo Casati e Anna Fallarino si erano incontrati per la prima volta a Cannes nel 1958. La donna all’epoca era sposata con l’ingegner Giuseppe Drommi (poi consorte della contessa Patrizia De Blanck). Camillo Casati ne diverrà l’amante, fino a farle ottenere l’annullamento del matrimonio (pagando, si dice, 1 miliardo di lire) dalla Sacra Rota e la sposerà con rito civile nel 1959. Sarà durante il viaggio di nozze che Camillo Casati le rivelerà i suoi gusti sessuali, spingendo la moglie ad intrattenere rapporti sessuali con giovani di bell’aspetto da lui stesso scelti e pagati, il tutto ovviamente debitamente sotto il suo sguardo, riservandosi inoltre la possibilità di scattare fotografie della scena (cuckold). Di tale passione voyeuristica e candaulesimica ci restano numerose annotazioni scritte di suo pugno relative ai momenti e alle esperienze più soddisfacenti.

Al mare con Anna ho inventato un nuovo gioco. L’ho fatta rotolare sulla sabbia, poi ho chiamato due avieri per farle togliere i granelli dalla pelle con la lingua” annota. E ancora: “Oggi Anna mi ha fatto impazzire di piacere. Ha fatto l’amore con un soldatino in modo così efficace che da lontano anche io ho partecipato alla sua gioia. Mi è costato trentamila lire, ma ne valeva la pena“. Non mancano le testimonianze di chi ha partecipato ai loro giochi, come quella di un bagnino. “Erano degli zozzoni” racconta “Venivano sulla spiaggia e si mettevano nudi. Un giorno mi hanno invitato a stendermi tra loro. L’ho fatto e mi sono sentito sfilare il costume, poi quella donna mi ha attirato sopra di sé. E’ accaduto tutto sotto gli occhi del suo compagno. Alla fine lui era talmente contento che mi ha dato cinquemila lire di premio“.

Tuttavia, con il procedere degli incontri, il marchese nel suo diario personale esprime a più riprese il timore di un possibile coinvolgimento affettivo della donna con quegli uomini mercenari.

La svolta decisiva in tal senso si ebbe quando Anna Fallarino, coinvolgendo il marito, cominciò ad organizzare festini invitando molte persone, tra le quali era spesso presente Massimo Minorenti, giovane studente fuori corso di Scienze politiche con fama da picchiatore fascista e già noto alle cronache mondane per una presunta relazione con Lola Falana, che era stato in precedenza pagato dal Marchese Casati per avere rapporti con la moglie. Il ripetersi di simili situazioni non passò inosservata a Camillo, tanto che una sera, tra amici, sbottò con un “È la prima volta che mia moglie mi tradisce con il cuore“, poi, con una certa sicurezza, aggiunse: “Ma sono certo che le passerà“. La sua ragione di vita stava nel consegnare la moglie alle voglie altrui, creare forse il sostituto alla propria impotenza, “godere” nel fotografarla mentre godeva fra altre braccia. La relazione tra Anna e Massimo, dunque, lo infastidisce, si sente tagliato fuori.

I fatti avrebbero assunto una direzione sempre più distante da quella attesa dal Marchese, tanto che nel suo diario, alla data del 7 luglio 1970 lo sconfortato Camillo parlando della moglie scriveva trattarsi della «più grande delusione della mia vita, vorrei essere morto e sepolto. Che schifo, piccineria, voltastomaco quello che mi ha fatto Anna. Pensavo che fossimo l’unica coppia legata veramente, e invece…», e il 24 agosto, a pochi giorni dalla strage: «Sto letteralmente morendo internamente e ho perso tutto». Pensa al suicidio, scrive alla sua amata chiedendole di andarlo a trovare presso lo storico Mausoleo di Famiglia al cimitero di Muggiò una volta morto. Poi, però, ci ripensa. L’estremo messaggio lo vergò sul retro di un calendario erotico, pochi istanti prima di irrompere nel salotto della sua casa romana imbracciando l’arma del delitto: «Amore mio, vita mia, perdonami, ma quello che farò lo debbo fare. Addio, mia unica gioia passata».

La vicenda

Il marchese si era assentato da Roma per partecipare ad una battuta di caccia presso la tenuta di Valdagno alla quale era stato invitato dai Marzotto. Al termine della stessa fece una telefonata (erano circa le 4 del mattino del 30 agosto) alla sua abitazione romana. Udendo rispondere il Minorenti entrò in uno stato di grande agitazione, apparendo oramai palese il tradimento della moglie. Interrotta la comunicazione, chiamò nuovamente il numero di casa e questa volta rispose la moglie Anna. Dopo averle lanciato gravi minacce si precipitò a Roma. Appena giunto in via Puccini avvertì la servitù (5 persone in tutto) di non disturbare assolutamente e si recò nel salotto, dove i due lo stavano aspettando. Entratovi, sparò tre colpi alla moglie e poi due al di lei amante, che aveva usato un piccolo tavolo nella speranza di ripararsi. Usò l’ultimo colpo su di sè. L’arma utilizzata si rivelò poi essere un Browning calibro 12. La servitù nel frattempo, allarmata dagli spari, aveva chiamato la polizia, senza tuttavia entrare nella stanza.

In un’intervista all’Europeo, l’agente Domenico Scali ricorda: «Il primo corpo che vidi fu quello di Anna Fallarino. Mi sembrò ancora viva. Era seduta sul divano con le gambe incrociate sopra uno sgabello. Aveva le mani in grembo e il volto sereno. La nota stonata era una macchia scura di sangue sulla camicetta. Vicino a lei, accanto al divano, c’era il giovane Minorenti. Giaceva mezzo raggomitolato per terra, con indosso una maglietta leggera e dei pantaloni, seminascosto da un tavolino con cui aveva tentato a quanto pare un’estrema difesa… Avanzai e vidi anche il terzo corpo, quello del marchese. Non era un bello spettacolo, con la testa mezza sfigurata dal colpo di fucile. L’arma, un Browning calibro 12, giaceva abbandonata su una poltrona. Doveva aver usato quella poltrona per puntarsi il fucile sotto il mento».

Secondo la relazione della magistratura inquirente: «Il Casati era pervenuto a una concezione del suo rapporto con la seconda moglie, Anna Fallarino, tale da consentirgli non solo la più ampia tolleranza verso i rapporti sessuali della moglie con occasionali amanti dell’uno o dell’altro sesso, ma anche e soprattutto di eccitarsi e di godere in massima misura della sua partecipazione». Vent’anni dopo, intervistato dal quotidiano Il Messaggero, il capo della Mobile romana smentì incontri lesbici, droghe, orge e eventuali ricatti del giovane amante.

Le conseguenze

Con la morte di Camillo Casati Stampa di Soncino, sepolto secondo il suo volere accanto alla seconda consorte, nello storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino nel cimitero urbano di Muggiò, le sue proprietà passarono alla figlia Annamaria, avuta dalla prima moglie Letizia Izzo. Nel suo testamento aveva disposto di lasciare tutti i suoi possedimenti alla moglie Anna Fallarino, ad eccezione di un quadro e di un’assicurazione del valore di 100 milioni di lire, destinati alla figlia. Pertanto la succesione universale di quest’ultima fu contestata dalla famiglia Fallarino, che si affidò all’avvocato Cesare Previti. La perizia medica stabilì tuttavia che Anna Fallarino era deceduta sul colpo al primo sparo diretto contro di lei, premorendo al marito.

Tra le proprietà del Marchese, vi erano le numerose residenze sparse nella Brianza milanese a Muggiò, Usmate Velate, Cusago, Arcore. Quest’ultima residenza, già Giulini Della Porta (ora Villa San Martino), è oggi di proprietà del Presidente del Consiglio, Cavalier Silvio Berlusconi.

Fonte: Wikipedia

L’eredità Casati Stampa

Villa San Martino

La storia della dimora

Con la Villa Borromeo d’Adda, attualmente sede comunale, e la Villa La Cazzola, residenza privata, fa parte del gruppo di ville sorte nel comune di Arcore a partire dal XVI secololungo il Lambro, che si presentano oggi come residenze di villeggiatura e rappresentanza, seguendo l’arcaica destinazione delle “ville di delizia”, [1] ma che erano nate come residenze padronali, da dove venivano gestite grandi aziende agricole, o semplici casini per la caccia.

L’ampio edificio prende il nome dalla località San Martino, in cui sorgeva unmonastero benedettino, acquisito con le sue terre a metà del ‘700 dai conti Giulini, che lo ristrutturarono in formeneoclassiche.

L’edificio fu disposto o forse mantenuto dai Giulini nella tipica struttura a U aperta verso il paese. Durante queste opere di trasformazione fu impostato anche il grande viale d’accesso lungo un asse prospettico che, partendo dalla piazza antistante villa Borromeo, si spinge verso Ovest oltrepassando a cannocchiale l’edificio, nella sequenza corte d’onore, arco centrale del portico e apertura corrispondente nel salone; quindi attraversa il giardino e, infine, fiancheggiato da un lungo filare d’alti pioppi, si prolunga fino al Lambro, distante qualche chilometro.

Un impianto scenografico imponente, capace di far colloquiare l’edificio, il parco secolare e il verde agricolo molto esteso alla villa. Questo asse prospettico, sebbene ora interrotto visivamente da una macchia verde di alberi e arbusti e dal muro di cinta, è rimasto sostanzialmente integro. Dopo le trasformazioni compiute dal Giulini, la villa passò ai Casati nella prima metà dell’Ottocento, a seguito del matrimonio di Anna Giulini Della Porta con Camillo Casati (1805-1869). Alla fine di quello stesso secolo, pervenne al ramo dei Casati Stampa di Soncino e, seppure non stabilmente, continuò ad essere abitata con assiduità. Fino al 1955, anno della sua morte, fu abitata da Alessandro Casati, che ne ingrandì la biblioteca e vi ospitò a più riprese l’amico Benedetto Croce. Alla sua morte passò al parente più prossimo, il nipote Camillo Casati Stampa di Soncino (Roma 1927). Questi risiedette saltuariamente nella villa. Morto suicida nel 1970 dopo aver assassinato la moglie Anna Fallarino e il di lei compagno Massimo Minorenti (Delitto di via Puccini), la proprietà passò alla sua figlia di primo letto (avuta con Letizia Izzo), Anna Maria. La giovane all’epoca diciottenne e quindi secondo la legge minorenne venne affidata ad un tutore, nella persona di Giorgio Bergamasco. Pro-tutore viene nominatoCesare Previti. Nel 1972 Bergamasco viene nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento nel primo governo Andreotti e Previti diventa il tutore unico della Casati Stampa. Quest’ultima, nel frattempo sposatasi con il Conte Pierdonato Donà dalle Rose e trasferitasi inBrasile, si svincola della tutela giuridica, mantenendo tuttavia Previti come suo avvocato. Pressata da esigenze economiche accetta nel 1973 la proposta di Previti di mettere in vendita la villa, che trova un acquirente in Silvio Berlusconi che acquista la tenuta per una somma di appena 500 milioni di lire e per giunta dilazionati nel tempo, mentre il valore effettivo del solo immobile di 3500 mq è di oltre 1 miliardo e 700 milioni dell’epoca come risulta dalle stesse stime legate all’eredità. Inoltre, all’interno della villa era conservata un’importante pinacoteca di opere del XV e XVI secolo, una biblioteca di oltre 3000 volumi antichi, oltre ad un immenso parco con scuderie e piscine. Alla fine del ’74 Berlusconi si insedia ad Arcore, ma Previti “suggerisce” alla sua “assistita” di posticipare il rogito catastale che verrà fatto nel solo 1980, evitando così il pagamento delle tasse di proprietà.[senza fonte] Una parte della somma pattuita vien inoltre versata sotto forma di azioni della Edilnord, poi riacquistate da Berlusconi stesso.

Silvio Berlusconi che ne è l’attuale proprietario ha fatto eseguire un restauro di tipo conservativo della porzione più antica e un ripristino di alcune parti alterate da precedenti interventi o che apparivano ormai fatiscenti. Grazie a questi lavori sono anche stati liberati, sistemati e resi disponibili splendidi locali sotterranei. L’attuale proprietario vi ha collocato un mausoleo personale (opera di Pietro Cascella), oggetto di interesse da parte della stampa mondiale, con loculi per i prossimi, una statua da 100 tonnellate ed un faraonico sarcofago in marmo rosa.

Fonte: Wikipedia

Fa parte del gruppo di ville sorte nel comune di Arcore a partire dal XVI secolo lungo il Lambro  

Villa San Martino

Fino al 1955, anno della sua morte, fu abitata da Alessandro Casati, che ne ingrandì la biblioteca e vi ospitò a più riprese l’amico Benedetto Croce

Un rogito chiaccherato

Il marchese aveva lasciato una figlia minorenne Annamaria Casati Stampa (nata a Roma il 22 maggio 1951, quindi all’epoca dei fatti 19enne ma minorenne perché la maggiore età era fissata a 21 anni).  

Camillo Casati e Stampa con la moglie Anna Fellarino

Tutore dell’erede Cesare Previti

Cesare Previti (Reggio Calabria, 21 ottobre 1934) è un avvocato e politico italiano. Ha ricoperto la carica di ministro della Difesa nel primo governo Berlusconi. Condannato in via definitiva nel 2006 per il processo IMI-SIR e nel 2007 per il processo Lodo Mondadori, dopo aver beneficiato dell'indulto, ha scontato la pena sotto forma di affidamento ai servizi sociali. E' interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.

L’ultimo Casati-Stampa, il marchese Camillo, morì suicida a Roma, nel 1970, dopo avere ucciso la moglie e il giovane amante in una brutta storia che fece epoca nelle cronache del tempo. Ma oltre a dare motivo di chiacchiere alle gazzette, il marchese aveva lasciato una figlia minorenne (nata a Roma il 22 maggio 1951, quindi all’epoca dei fatti 19enne ma minorenne perché la maggiore età era fissata a 21 anni), Annamaria Casati Stampa, e grandi sospesi con il fisco. L’ereditiera Annamaria, avendo nel frattempo lasciato l’Italia per il Brasile, su consiglio del suo pro-tutore, l’allora giovane avvocato Cesare Previti, accettò una volta divenuta maggiorenne di vendere l’intera proprietà San Martino nel 1974Silvio Berlusconi (la villa, completa di pinacoteca, biblioteca di 10mila volumi – per curare i quali venne assunto come bibliotecario Marcello Dell’Utri – arredi e parco con scuderia in cui fu assunto come stalliere il boss mafioso Vittorio Mangano, era all’epoca valutata per il solo bene immobile circa 1.700 milioni di lire [3]) in cambio della cifra, molto inferiore alla valutazione, di 500 milioni di lire [4] in titoli azionari (di società all’epoca non quotate in borsa), pagamento dilazionato nel tempo. L’ereditiera non riuscì a monetizzare, se non con un accordo con gli stessi Previti e Berlusconi, che li riacquistarono per 250 milioni, ossia la metà di quanto avrebbero dovuto valere. all’allora imprenditore edile All’inizio degli anni ottanta la proprietà fu valutata garanzia sufficiente ad erogare un prestito di 7,3 miliardi di lire.[6]. Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto gli autori del libro “Gli affari del presidente”, che raccontava la storia della transazione
Maggioranza nel caos, i finiani contro Berlusconi: Spieghi come ha comprato ArcoreNon hanno retto i troppi attacchi a Fini, e a un certo punto a qualcuno è venuto in mente: chi è Lui per parlare? Poi l’on. Briguglio lo ha detto chiaro e tondo: “Silvio Berlusconi ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la Villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni di lire questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni di circa un milione di metri quadri grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia”. Lo strappo di Fli e la campagna contro Fini portano alla rissa senza regole: fine della politica, fuori gli scheletri dagli armadi, con buona pace di qualsiasi forma di contraccezione linguistica e 16 anni di alleanza. E così, l’ennesimo giorno di fibrillazione del fu Pdl è un autoscontro in cui i protagonisti hanno perso i nervi e se le danno di santa ragione. Mentre fuori dalla rissa, per una volta, Pd e Idv osservano la situazione e provano ad approfittarne.Bocchino-Bondi-Bocchino 

Ad innescare la scintilla anche oggi una serie di interviste. A cominciare da quella rilasciata di Italo Bocchino a la Repubblica. Le possibilità che Fini si dimetta “sono pari a zero”, dice Bocchino al quotidiano di Ezio Mauro. E anzi, prima di lui, “che non è nemmeno sotto processo”, dovrebbe essere “Berlusconi a dimettersi, al contrario imputato in più processi” e con lui “per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso”. Il presidente della Camera, continua Bocchino, “dipende dal Parlamento che gli dà la fiducia, ma il Parlamento non può e non deve dipendere dal governo”. In ogni caso, si chiede come possa il Cavaliere chiedere le dimissioni di Fini, “proprio lui che è imputato in più processi” come i ministri e il capo della Protezione Civile. “Noi – aggiunge – non abbiamo mai chiesto le loro dimissioni” (non ancora, in realtà, ci andrà molto vicino un altro finiano, l’onorevole Briguglio, nel pomeriggio). Anche se Berlusconi ufficialmente in questi giorni non si è pronunciato, per Bocchino “ci sono prove inconfutabili che lui sia il mandante di tutta l’operazione”: in primis le dimissioni chieste dal portavoce del Pdl (Capezzone) e mai smentite, e in secondo luogo “la raccolta di firme contro Fini arrivata dal Giornale, che è una sua proprietà”.

Che i toni siano particolarmente accesi se ne rende conto il viceministro Adolfo Urso (“vedo follia da disgregazione”) in una intervista alla Stampa. Ma è ormai troppo tardi. La replica dei sostenitori di Berlusconi è battuta dalle agenzie già di prima mattina. Il primo a rispondere è il coordinatore del Pdl Denis Verdini, con una sorprendente quanto involontaria ‘innocenza’. A proposito di Fini, Verdini dice: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Chi conduce strumentalmente una battaglia per la legalità alzando sempre il dito indice, dovrebbe sempre rispondere con chiarezza e trasparenza”.

Ma la replica più dura, quella che apre la rissa arriva dal ministro per i Beni culturali Sandro Bondi che accusa Bocchino di “essere in stato confusionale” e di “non capire la complessità della politica”. Gli fa eco il ministro Matteoli che accusa il capogruppo di Fli di usare toni intimidatori. Da qui in poi parte il tutti contro tutti con Briguglio e Germontani (Fli) da un lato e Capezzone, Cicchitto, Santelli, Bernini (Pdl) e Osvaldo Napoli – ‘Bocchino si riposi, è stressato’ – dall’altro. Ma Bocchino non perde tempo e contro-replica a Bondi: “E tu, che difendi un plurimputato?”.

Pd-Idv prove tecniche di accordo

In questa ‘follia da disgregazione’, Pd e Idv cominciano a vedere l’opportunità e un punto in comune. E’ il leader dell’Italia dei Valori, con una intervista a Sky, a fare il primo passo e ad aprire all’ipotesi, condizionata, di un governo di transizione. Ribadendo che ‘la coalizione del centrodestra non c’è più” e la necessità “di andare ad elezioni per costruire un’alternativa”, Di Pietro ha commentato la vicenda Fini – “Deve spiegare chiaramente, altrimenti è finito” – e per la prima volta si è detto disposto “a un governo tecnico, garantito dal Capo dello Stato per fare una nuova legge elettorale, una sul conflitto d’interessi e una sulla pluralità dell’informazione”. Il punto, ovviamente, è sempre lo stesso: “Sarei disposto ad allearmi con il diavolo pur di mandare a casa Berlusconi”.

Arrivano, e suonano come un accordo, anche le dichiarazioni del segretario del Pd, Pierluigi Bersani: “Dopo due anni pretendiamo che Berlusconi venga in Parlamento. Se la rottura del mitico predellino portasse ad una situazione tale da rendere inevitabili le elezioni e per giunta con questa vergognosa legge elettorale noi ci rivolgeremmo alle forze del centrosinistra e dell’opposizione per una strategia comune di cui siamo già pronti a proporre e a discutere le basi politiche e programmatiche”.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

 

Il salone della Villa San Martino ad Arcore

Villa San Martino Arcore, la facciata

Pdl: Ghedini, articolo Unita’ su casa di Arcore diffamatorio

Roma, 13 ago. (Adnkronos) – ”L’articolo pubblicato su “l’Unita’” di oggi, in relazione all’acquisto della casa di Arcore da parte del presidente Berlusconi, e’ palesemente diffamatorio sia per i contenuti, sia per i toni usati. Le dichiarazioni di Beatrice Rangoni Machiavelli, le cui posizioni di aspro contrasto politico nei confronti del centrodestra e in particolare del presidente Berlusconi sono ben note, sono destituite di ogni fondamento. Il prezzo pagato per l’immobile e’ stato esattamente quello prefissato e richiesto dalla proprieta’, non e’ stato oggetto di alcuna trattativa ed era assolutamente congruo anche in relazione all’epoca della vendita e allo stato dell’immobile”. E’ quanto dichiara il deputato del Pdl, Niccolo’ Ghedini, legale del premier Silvio Berlusconi.

Fonte: AdnKronos

Montecarlo e Arcore: la guerra dei dossier

Lo scontro a colpi di richieste di dimissioni tra i berlusconiani più sfegatati e i finiani di stretta osservanza non si placa ma si fa strada nel Pdl e nel neonato gruppo di Futuro e Libertà un fronte di ‘responsabili’ che invita ad abbassare i toni e a cercare a settembre «un serio confronto nella maggioranza in termini di agenda di governo». E questo mentre l’opposizione su iniziativa del Pd prova a fare fronte comune contro Berlusconi.

I primi a proporre la tregua sono i finiani del Senato che diffondono una nota a nome di tutto il gruppo Futuro e Libertà per invitare ad abbandonare le «polemiche sterili e dannose» di agosto e guardare a settembre che «deve essere il mese della responsabilità e dei fatti concreti, nell’interesse del Paese». Parole che vengono apprezzate dal presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, perché «lontane dai vaniloqui, dalle invettive e dalle boutade espressi da alcuni deputati del Fli». Il capogruppo del Pdl a Montecitorio definisce la mossa dei finiani a Palazzo Madama «costruttiva» e invita a non «sottovalutarla». Per il capogruppo dei finiani a Palazzo Madama, Pasquale Viespoli, è il segno di «un dialogo possibile» ma «reale e praticabile solo se si esce dal clima di aggressione mediatica».

«L’articolo apparso quest’oggi su un quotidiano dove si prospetta un mio intervento con l’On. Bocchino volto ad evitare che i cosiddetti ‘finiani’, in reazione alla vicenda della casa di Montecarlo, attacchino mediaticamente il Presidente Berlusconi è non solo destituito di ogni fondamento ma palesemente risibile. Se fosse vero quanto sostenuto bisognerebbe ipotizzare che l’On. Bocchino sarebbe stato autore di una sorta di tentata estorsione, ovvero o smettete con Montecarlo oppure noi parleremo, e che per evitare il peggio il Presidente Berlusconi si sarebbe risolto, mio tramite, a miti consigli». Lo afferma Niccolò Ghedini in una nota. «Ovviamente così non è e l’articolo è frutto di totale invenzione. L’unico dato di fatto oggettivo in questa vicenda è rappresentato dall’apprezzabile documento di alcuni Senatori del centrodestra a cui il Presidente Berlusconi ha ritenuto di dare congrua risposta. È però ovvio che le successive dichiarazioni di taluni in particolare quelle dell’On. Granata pongono in serie difficoltà ogni dialogo, ancorchè dimostrino la profonda divisione fra i cosiddetti finiani. Ben vengano comunque richieste di approfondimento o di ulteriori verifiche su tutti gli argomenti indicati e che interesserebbero il Presidente Berlusconi. Come è noto sono tutti già stati ampiamente verificati dall’Autorità Giudiziaria competente e spesso oggetto di interrogazioni parlamentari del centrosinistra».

«Basti ricordare a titolo di esempio – prosegue Ghedini – che per quanto riguarda la villa di Arcore, acquisto effettuato 40 anni fa, la stessa venditrice ne ha sempre ritenuto, e ciò ancora oggi, congruo il prezzo mentre per la sussistenza di asserite società off-shore l’indicazione è del tutto falsa. È evidente comunque che tutte le dichiarazioni in merito saranno oggetto di ulteriori e specifiche azioni giudiziarie e ciò anche a dimostrazione dell’assoluta tranquillità del Presidente Berlusconi che durante le trattative politiche non si occupa di problematiche proprie, ma del bene del Paese».

«Agosto è il mese dei piromani e dei pompieri, al termine di questo mese mi auguro che abbiano vinto i pompieri per cui tifo e alla cui squadra mi iscrivo». Lo ha detto il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ad Agrigento per complimentarsi con gli uomini della squadra mobile che hanno arrestato il boss Giuseppe Falsone, commentando l’attuale situazione politica e l’ipotesi di elezioni anticipate.

«Per fortuna nel PdL sono tornate a volare le colombe. Ho molto apprezzato in questi giorni la moderazione e la saggezza del collega Silvano Moffa, il quale, in qualità di coordinatore dei gruppi parlamentari di Futuro e libert…, svolge un ruolo di primo piano ed è molto vicino al presidente Fini». Lo afferma in una nota Giuliano Cazzola, deputato del PdL e Vice Presidente della Commissione lavoro della Camera dei Deputati. «Ha fatto bene Silvio Berlusconi – prosegue Cazzola – ad apprezzare lo spirito costruttivo della dichiarazione dei senatori finiani. Si deve fare il possibile per ricucire lo strappo. Non si va da nessuna parte con la politica delle torte in faccia. La maggioranza ha ben governato il Paese durante anni terribili mentre l’opposizione sapeva soltanto balbettare. L’attuale crisi non dipende da motivazioni politiche serie e non presenta problemi che non siano superabili attraverso il confronto. Basta con la guerra dei dossier. È ora di ritrovare solidariet… ed amicizia. In politica – conclude Cazzola – non hanno cittadinanza i rancori personali».

Tuttavia, si tratta di timidi segnali di tregua in quella che ancora oggi appare come una guerra senza esclusione di colpi. Il Giornale prosegue nella raccolta firme per le dimissioni di Gianfranco Fini da presidente della Camera, ma il capogruppo Fli a Montecitorio, Italo Bocchino, contrattacca: «Prima di chiederlo a Fini, dovrebbe essere Berlusconi a dimettersi, perché è sotto processo». Sandro Bondi lo accusa di essere in «estremo stato di confusione e di smarrimento». Ma la linea di Bocchino diventa un refrain ripetuto a turno da diversi esponenti finiani: Barbaro, Di Biagio, Angela Napoli, Bellotti, Valditara, Saia.

Ma la controffensiva dei finiani non finisce qui. Il componente del Copasir Carmelo Briguglio risponde a tono all’attacco del Pdl sulla casa di Montecarlo appartenuta ad An, venduta a una società off shore e ora abitata dal cognato di Fini: «Berlusconi ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la Villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni di lire questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni di circa un milione di metri quadri grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia».

12 agosto 2010

Berlusconi, finiani all’attacco

«Chiarisca su Arcore e sulle sue società»

Affondo di Briguglio. Bocchino a Bondi: Fini deve lasciare? Dica allora che pensa del premier plurimputato

MILANO – Non si placa la polemica tra finiani e Pdl. Anzi, la tensione sale alle stelle. L’escalation di accuse reciproche ormai è inarrestabile e le parole pronunciate dal leader della Lega Umberto Bossi («Siamo nella palude, l’unica possibilità è votare») lasciano pensare che lo scenario di un’accelerazione verso la crisi di governo sia sempre più plausibile. Ed è lo stesso premier Silvio Berlusconi a finire nel mirino dei finiani. Il capo del governo, è l’affondo di Carmelo Briguglio, deputato del gruppo Futuro e Libertà e molto vicino a Gianfranco Fini, «ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni di lire questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni di circa un milione di metri quadri grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia». «Fini – ci tiene a sottolineare ancora Briguglio – ha dato risposte precise ed esaurienti sulla casa ereditata da An a Montecarlo. Attendiamo ora che altrettanto faccia il presidente del Consiglio. E dica anche se lui, la sua famiglia, il suo gruppo imprenditoriale fanno ricorso a società offshore con sede in paradisi fiscali e dia tutti i dettagli sugli intrecci fin dall’inizio della sua attività imprenditoriale con finanziarie svizzere. Aspettiamo sue dettagliate ed esaurienti risposte». Rincara la dose contro il Pdl Fabio Granata, che sul suo blog attacca: «È oramai evidente che lotta alle mafie, legalità, questione morale rappresentano argomenti off limit nel Pdl, se utilizzati fuori dalla propaganda autoreferenziale del governo».

SENATORI APRONO AL DIALOGO – Se tutti i finiani però sono d’accordo nel difendere il presidente della Camera dagli attacchi dei «giornali berlusconiani», sulla strategia da adottare nei rapporti con il Pdl non c’è all’interno di Futuro e Libertà una posizione condivisa. prova ne è il fatto che a differenza della maggior parte dei deputati finiani, il gruppo dei senatori di Fli apre al dialogo: «Dopo i polveroni polemici e strumentali di Ferragosto – scrivono in una nota – a settembre la strada maestra deve essere quella di un serio confronto nella maggioranza sull’agenda di governo». Proprio a questi senatori si è è rivolto a fine giornata il presidente del Consiglio. Berlusconi ha spiegato di apprezzare l’atteggiamento costruttivo espresso, auspicando una nuova «unità». Altrimenti saranno inevitabili, ha detto il premier, «scelte dolorose e definitive».

BOCCHINO CONTRO IL COORDINATORE PDL – L’affondo di Briguglio su Berlusconi è solo l’ultimo capitolo delle tensioni tra Pdl e finiani. Che hanno fatto registrare anche uno scambio di battute al vetriolo tra il coordinatore del Popolo delle Libertà Sandro Bondi e Italo Bocchino. Il capogruppo di Futuro e Libertà a Montecitorio ha replicato attraverso una nota al ministro che lo aveva accusato «di essere in stato confusionale». «Ha chiesto – ha detto Bondi – le dimissioni di mezzo governo e contemporaneamente una verifica di maggioranza a settembre».

ATTACCO A BONDI – «Bondi anziché aggredirmi verbalmente dicendo che sono in stato confusionale – attacca Bocchino – farebbe bene a dirci se nella scala dei suoi valori deve dimettersi prima un plurimputato come Berlusconi o il presidente Fini a cui la magistratura non ha niente da chiedere neanche come persona informata sui fatti». «La differenza tra noi e Bondi – continua il finiano – è anche nella lealtà perché noi abbiamo sempre difeso Berlusconi dalle aggressioni esterne mentre loro si sono fatti promotori di un’aggressione contro Fini soltanto perché, e uso parole di Feltri, non si è voluto “mettere a cuccia” nel “partito contorno”». «Che Bondi provi piacere a stare a cuccia facendo il contorno di Berlusconi è comprensibile, così come è comprensibile – conclude Bocchino – che Fini con la sua storia e il suo consenso abbia scelto di non starci».

LA NOTA – Le parole di Bondi che hanno fatto scattare la dura replica di Bocchino erano contenute in una nota del ministro: «Ho l’impressione che all’onorevole Italo Bocchino sfugga, quantunque faccia sfoggio di baldante sicurezza, la durezza e al tempo stesso la complessità della politica». Il coordinatore nazionale del Pdl aveva poi aggiunto: «Chiedere, come fa oggi l’onorevole Bocchino, da una parte le dimissioni pressoché dell’intero governo e dall’altra parte la convocazione di un vertice con tanto di verifica, tradisce l’estremo stato di confusione e di smarrimento in cui si trova il capogruppo di Fli». Martedì Bocchino aveva detto che chiedendo le dimissioni di Fini, come insiste da giorni una parte del Pdl, «si correva il rischio di una grave crisi istituzionale».

« SI DIMETTA BERLUSCONI» – Bocchino – in un’intervista a Repubblica – ha poi aggiunto che le possibilità che Fini si dimetta «sono pari a zero». E certo, prima di lui, «che non è nemmeno sotto processo», dovrebbe essere «Berlusconi a dimettersi, al contrario imputato in più processi» e con lui «per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso». Il capogruppo di Futuro e Libertà alla Camera sottolinea che se i berlusconiani «vanno avanti di un solo passo siamo alla crisi istituzionale» e «la sta aprendo Berlusconi». Il presidente della Camera, dice, «dipende dal Parlamento che gli dà la fiducia, ma il Parlamento non può e non deve dipendere dal governo». In ogni caso, si chiede come possa il Cavaliere chiedere le dimissioni di Fini, «proprio lui che è imputato in più processi» come i ministri e il capo della Protezione Civile. «Noi – aggiunge – non abbiamo mai chiesto le loro dimissioni». Anche se Berlusconi ufficialmente in questi giorni non si è pronunciato, per Bocchino «ci sono prove inconfutabili che lui sia il mandante di tutta l’operazione»: in primis le dimissioni chieste dal portavoce del Pdl (Capezzone) e mai smentite, e in secondo luogo «la raccolta di firme contro Fini arrivata dal Giornale, che è una sua proprietà». Il «rispetto del ruolo istituzionale di Fini» diventa allora «una precondizione» per evitare la crisi: «Non possiamo più stare a guardare gli avvoltoi, non possiamo più tollerare che il presidente della Camera sia quotidiano bersaglio della stampa berlusconiana».

Fonte: Il Corriere della Sera Redazione online
11 agosto 2010

Domani

Siamo in attesa dell’edizione de Il Giornale del 15 agosto 2010, poi seguiremo con la sceneggiatura di una commedia da Oscar…


♥♥♥ Arcore, la città del vizio: strade dipinte di rosa, quattro casinò, night clubs e la “Cinecittà del nord” per produzioni pornografiche.